Il Fascismo e il Superuomo
«Io insegno a voi il Superuomo. L’uomo è cosa che dev’essere superata. Che avete voi fatto per superarlo?»
Così chiede Zarathustra al popolo nel prologo a Così parlò Zarathustra. Il Superuomo, o forse più correttamente, l’Oltreuomo, è forse il concetto della filosofia di Nietzsche più noto, complesso, travisato e volgarizzato. Sebbene una vera e propria “definizione” del Superuomo non ci sia – il linguaggio poetico / aforismatico di Nietzsche rende le interpretazioni della sua filosofia ancor più ardue – questo “mito” filosofico e letterario presenta comunque delle connotazioni specifiche e particolari. Innanzitutto, nonostante il filosofo tedesco tentò di trovarne precursori singolari o collettivi nell’aristocrazia classica, in Napoleone ecc., il Superuomo è un concetto filosofico più che una vera e propria figura. È il modello del superamento dell’uomo che incarna in modo propositivo i valori fondamentali del pensiero nicciano: accettare il tragico dionisiaco della vita, reggere la morte di Dio e non per questo creare un nuovo “dio fantoccio” (come lo Stato, ad esempio), superare il nichilismo e affermarsi come volontà di potenza non statica (come “Dio” appunto) ma dinamica, sempre mutevole ma autogiustificantesi. Inoltre, a livello più concreto, questa figura è estremamente individualistica, elitaria, e fortemente contrapposta al “gregge” degli uomini inferiori, degli ultimi uomini. Indubbiamente i connotati sono sì rivoluzionari, ma fortemente antidemocratici. Il Superuomo con tali caratteristiche è però una “prospettiva futura” («L’uomo è una corda, tesa tra il bruto e il superuomo, — una corda tesa su di una voragine.»), e presupponendo il rifiuto di ogni “sistema” (del resto, la filosofia di Nietzsche è tutto meno che sistematica) non può essere confuso con nessun tipo “antropologico” né “storico”. Non è il modello di una nuova civiltà, non è l’esteta colto, edonista e dissoluto alla D’Annunzio, non è un’evoluzione “darwiniana” dell’uomo. Eppure, nel corso della storia questa figura è stata spesso fraintesa, strumentalizzata, travisata per secondi fini. È il caso dell’uso che i totalitarismi di destra del ‘900 ne fecero. A causa del millantato rapporto tra nazifascismo e Superuomo, si è giunti a parlare del nazismo come “esperimento nicciano (Ernst Nolte), finché nel secondo dopoguerra le edizioni critiche in senso filologico delle sue opere contribuirono a una denazificazione del filosofo (ma a volte addirittura a un travisamento “a sinistra”).
Il fascino del Superuomo è innegabile, e tra le tante persone influenzate dalla lettura non per forza corretta e intelligente di Nietzsche vi fu Benito Mussolini. Nei primi del ‘900 il giovane Mussolini, ancora facente parte del gruppo socialista più radicale, legge Nietzsche, e nel 1909 pubblica sulla rivista socialista Pagine libere l’articolo La filosofia della forza, in cui il Superuomo diventava il simbolo dell’estremismo di sinistra e dell’azione rivoluzionaria volta ad affrettare i cambiamenti voluti dalla sinistra riformista. Proprio da Nietzsche Mussolini adottò il carattere “guerresco” e aggressivo del suo pensiero, oltre che del suo modo di essere, per altro già in gioventù di per sé rozzo e “poco pacato”. Con l’avvento definitivo del fascismo negli anni ’20 (dalla marcia su Roma del ’22 alla costituzione della dittatura nel ‘25) i caratteri ideologici del regime furono definitivamente delineati. Sebbene Nietzsche, anche attraverso la mediazione dannunziana, fosse sempre alla base del sentimento di fondo e dell’ideale fascista, nel pieno sviluppo del fascismo si sviluppò appieno la contraddizione tra il filosofo tedesco e appunto, il fascismo.
Così chiede Zarathustra al popolo nel prologo a Così parlò Zarathustra. Il Superuomo, o forse più correttamente, l’Oltreuomo, è forse il concetto della filosofia di Nietzsche più noto, complesso, travisato e volgarizzato. Sebbene una vera e propria “definizione” del Superuomo non ci sia – il linguaggio poetico / aforismatico di Nietzsche rende le interpretazioni della sua filosofia ancor più ardue – questo “mito” filosofico e letterario presenta comunque delle connotazioni specifiche e particolari. Innanzitutto, nonostante il filosofo tedesco tentò di trovarne precursori singolari o collettivi nell’aristocrazia classica, in Napoleone ecc., il Superuomo è un concetto filosofico più che una vera e propria figura. È il modello del superamento dell’uomo che incarna in modo propositivo i valori fondamentali del pensiero nicciano: accettare il tragico dionisiaco della vita, reggere la morte di Dio e non per questo creare un nuovo “dio fantoccio” (come lo Stato, ad esempio), superare il nichilismo e affermarsi come volontà di potenza non statica (come “Dio” appunto) ma dinamica, sempre mutevole ma autogiustificantesi. Inoltre, a livello più concreto, questa figura è estremamente individualistica, elitaria, e fortemente contrapposta al “gregge” degli uomini inferiori, degli ultimi uomini. Indubbiamente i connotati sono sì rivoluzionari, ma fortemente antidemocratici. Il Superuomo con tali caratteristiche è però una “prospettiva futura” («L’uomo è una corda, tesa tra il bruto e il superuomo, — una corda tesa su di una voragine.»), e presupponendo il rifiuto di ogni “sistema” (del resto, la filosofia di Nietzsche è tutto meno che sistematica) non può essere confuso con nessun tipo “antropologico” né “storico”. Non è il modello di una nuova civiltà, non è l’esteta colto, edonista e dissoluto alla D’Annunzio, non è un’evoluzione “darwiniana” dell’uomo. Eppure, nel corso della storia questa figura è stata spesso fraintesa, strumentalizzata, travisata per secondi fini. È il caso dell’uso che i totalitarismi di destra del ‘900 ne fecero. A causa del millantato rapporto tra nazifascismo e Superuomo, si è giunti a parlare del nazismo come “esperimento nicciano (Ernst Nolte), finché nel secondo dopoguerra le edizioni critiche in senso filologico delle sue opere contribuirono a una denazificazione del filosofo (ma a volte addirittura a un travisamento “a sinistra”).
Il fascino del Superuomo è innegabile, e tra le tante persone influenzate dalla lettura non per forza corretta e intelligente di Nietzsche vi fu Benito Mussolini. Nei primi del ‘900 il giovane Mussolini, ancora facente parte del gruppo socialista più radicale, legge Nietzsche, e nel 1909 pubblica sulla rivista socialista Pagine libere l’articolo La filosofia della forza, in cui il Superuomo diventava il simbolo dell’estremismo di sinistra e dell’azione rivoluzionaria volta ad affrettare i cambiamenti voluti dalla sinistra riformista. Proprio da Nietzsche Mussolini adottò il carattere “guerresco” e aggressivo del suo pensiero, oltre che del suo modo di essere, per altro già in gioventù di per sé rozzo e “poco pacato”. Con l’avvento definitivo del fascismo negli anni ’20 (dalla marcia su Roma del ’22 alla costituzione della dittatura nel ‘25) i caratteri ideologici del regime furono definitivamente delineati. Sebbene Nietzsche, anche attraverso la mediazione dannunziana, fosse sempre alla base del sentimento di fondo e dell’ideale fascista, nel pieno sviluppo del fascismo si sviluppò appieno la contraddizione tra il filosofo tedesco e appunto, il fascismo.
Il fascismo ha
caratteri estremamente complessi e variegati, e nei vari “campi” (estetico,
politico, economico, istituzionale ecc.) ha origini e connotazioni eterogenee e
talvolta confuse. Il fascismo si delinea come un “movimento” di origini
socialiste-rivoluzionarie e contemporaneamente anti-operaie, militarista,
organicista, interclassista, corporativista, squadrista, alternativo al
capitalismo liberale e al comunismo marxista, totalitarista; con le parole di
Emilio Gentile, storico moderno del fascismo,
«un fenomeno politico moderno nazionalista
rivoluzionario antiliberale antimarxista organizzato in un partito milizia con
una concezione totalitaria della politica e dello Stato con un'ideologia
attivistica e antiteoretica, a fondamento mitico, virilistica e
antiedonistica, sacralizzata come religione laica, che afferma
il primato assoluto della nazione, intesa come comunità organica etnicamente
omogenea, gerarchicamente organizzata in uno Stato corporativo, con una
vocazione bellicosa alla politica di grandezza, di potenza e di conquista
mirante alla creazione di un nuovo ordine e di una nuova civiltà.» (2002).
Tenendo presente
l’interpretazione di Emilio Gentile, possiamo dire che:
I)
Il
fascismo è movimento di massa, la cui base di consenso consistette,
soprattutto in un primo momento, nei ceti medio borghesi. Il
sentimento di appartenenza non si basa tanto sulla comunanza ideologica, né su
distinzioni razziali o di classe, ma su un sentimento di cameratismo di
matrice bellica. Già nei primi anni ’20 il fascismo riuscì nel Nord Italia ad
ottenere un’ottima base di consenso anche nella classe contadina, trovando una
certa autonomia dai “signori della terra” e ponendosi in contrasto e
sostituzione al socialismo.
II)
La
base istituzionale del fascismo è di stampo bellico e militare: se in un primo
momento il fascismo adoperò la tecnica del “doppio binario” (scorribande e
violenze a danni degli operai da una parte e manovre politiche e “pacifiche”
dall’altre), una volta preso, il potere fu mantenuto attraverso il terrore, la
censura e il controllo di ogni aspetto della vita pubblica e privata degli
italiani, con i media e con la forza.
III)
Il
fascismo non si regge su una vera e propria base filosofica (diverso
è invece il caso del comunismo per esempio, nonostante le sue declinazioni
storiche raramente son rimaste fedeli al marxismo), ma basa la propria forza su
caratteristiche prevalentemente estetiche. V’è l’esaltazione del senso
tragico e attivistico della vita in una prospettiva
anti-individualistica: il popolo, sotto la guida del Duce, partecipa in blocco
(pur senza la partecipazione del singolo, il quale non ha voce né importanza
all’interno nell’ ottica fascista) alla “rivoluzione fascista”. Una serie di
simboli e riti, uniti alla grandiosa ed “emozionante” propaganda,
contribuiscono plasmare il “nuovo uomo fascista”: religiosamente fedele al
partito, indottrinato, non è più “individuo” ma trova il proprio compimento nel
rito fascista. L’ideale uomo fascista è inoltre l’”uomo villoso e virile”
(pensiamo alle immagini sui manifesti propagandistici), un “superuomo” che
impone con la forza la “volontà di potenza della rivoluzione fascista”:
importanti sono il culto della giovinezza e della
violenza (di matrice ardito-futurista: la giovinezza è il momento
della vita in cui la forza rivoluzionaria e creatrice è al suo massimo),
il culto della Roma antica (pensiamo al saluto “romano”, ai
fasci, all’architettura e alla scultura fascista) e ovviamente il culto
del Duce.
IV)
Il
fascismo è un’ideologia totalitaria che si propone come religione
laica. Emilio Gentile afferma: «il
totalitarismo – libero dallo sterminio di massa – è una tecnica politica che
può essere applicata continuamente in una società di massa. [...] Una tecnica
che punta a uniformare l'individuo e le masse in un pensiero unico, usando il
controllo dell'informazione.». Il totalitarismo è dunque un “metodo”,
volto a trasformare la natura umana attraverso lo Stato e la politica: la
concezione del mondo è non solo integralistica, ma statica e immutabile.
V)
La
politica economica è funzionale al partito e, soprattutto, all’interventismo
bellico.
Il
fascismo è un movimento di massa e contemporaneamente esalta la volontà di
potenza dell’uomo fascista, volta al compimento della rivoluzione –
diversamente, il Superuomo nicciano è una figura (peraltro filosofica e non
concreta) fortemente anti-comunitaria, elitaria, individualistica (pensiamo ai
numerosi riferimenti alla solitudine del Superuomo in Così parlò Zarathustra), la cui volontà
di potenza è mutabile e soprattutto personale: non deriva da alcuna ideologia o
valore costituito, neppure dal Superuomo stesso.
Il Superuomo di
Nietzsche è libero ed è demolitore di ogni sistema stabile e “inattaccabile”,
il superuomo fascista è un ideale estetico funzionale alla propaganda e
all’esaltazione delle masse.
Il superuomo
fascista è violento e afferma la propria volontà di potenza e l’ideale fascista
attraverso l’azione militare – in Della guerra e dei guerrieri
Zarathustra afferma di amare i guerrieri poiché sono i primi uomini, per cui la parola «tu devi» suona meglio di quella
«io voglio», a morire, lasciando spazio all’avvento del Superuomo, che
non obbedisce come un soldato, non porta l’uniforme come un soldato. Dice ai
guerrieri: «Voi siete brutti? Ebbene,
miei fratelli, avvolgetevi nel sublime, che è il manto della bruttezza»,
designando nel militarismo un falso mito e, per dirla col poeta inglese Wildred
Owen, the old Lie: Dulce et decorum est Pro patria mori.
L’antisemitismo
fascista non ha alcuna base né ideologica né filosofica, ma sancì la vicinanza
al partito nazista – la critica all’ebraismo da parte di Nietzsche deriva
dall’attenta analisi culturale e antropologica condotta nella Genealogia della morale; inoltre,
Nietzsche stesso si dichiara anti-antisemita, affermando il disprezzo nei
confronti di coloro che odiano glie ebrei senza la consapevolezza della loro
importanza storica e filosofica. Il discorso è analogo alla critica all’
ateismo dell’ultimo uomo.
I richiami alla
classicità fascisti non poggiano su alcuna base culturale consistente. Il
“fascio” ha una lunghissima storia simbolica, che attraversa anche la cultura
contadina e di sinistra; il saluto “romano” deriva da un falso mito riguardo la
romanità: durante i trionfi infatti non solo i legionari non sfilavano facendo
il saluto a braccio teso, da nessuna parte attestato, di fronte al comandante
(per altro sarebbe risultato troppo scomodo, a causa delle file serrate in cui
marciavano), ma agli stessi legionari era consentito in quella particolare occasione
di deridere e prendersi gioco del comandante. I riferimenti nicciani alla
classicità derivano da una consapevole ricerca e da una profonda conoscenza
della cultura greca e romana e classica in genere (pensiamo agli studi
filologici di Nietzsche): il dionisismo misterico dei Greci è la più grande
espressione della vicinanza alla terra tipica della dottrina del Superuomo,
mentre la Roma Antica è la civiltà che cade sotto il risentimento del popolo
sacerdotale per eccellenza, quello ebraico.
A
fronte di tali differenze, si può ben affermare che il fascismo è forse ciò che
di più lontano c’è dalla filosofia di Nietzsche. Certo, la cosa non stupisce:
se da una parte i fascisti (in particolare lo stesso Mussolini) non son mai
stati famosi per essere intellettuali di alto livello, la complessità dello
stile di Nietzsche, a volte aforismatico, a volte a metà tra prosa, poesia e
profezia (è il caso dello Zarathustra), lascia spazio a travisamenti e
incomprensioni. Dice infatti il filosofo: «L’aforisma, la sentenza, sono
le forme dell’eternità; la mia ambizione è dire in dieci frasi quello che
chiunque altro dice in un libro, quello che chiunque altro non dice in un
libro.». È a partire da Umano, troppo
umano che, insieme alla svolta “illuministica” demistificatrice di verità e
tradizioni, lo stile si complica. Fortunatamente la critica nella seconda metà
del ‘900 (in particolare ricordiamo l’opera del filologo Mazzino Montinari
negli anni ’60) è riuscita a separare le teorie del filosofo tedesco da quelle
totalitarie di destra, così come ha chiarito la distinzione tra il Superuomo
originale e quello dannunziano. In particolare, la ricerca, ad opera
soprattutto del Montinari, si focalizzò sulle vicende che portarono
all’avvicinamento della filosofia nicciana a nazismo e fascismo (e non il
contrario). La colpa non è infatti da ricercare solo nell’appropriazione
indebita e poco intelligente da parte di Mussolini come di Hitler (che pure
amava farsi ritrarre in contemplazione del busto del filosofo, e che donò al
dittatore italiano un’edizione di lusso dell’opera omnia) delle
teorie nicciane. Dopo la morte di Friedrich Nietzsche (1900), la sorella di
quest’ultimo, Elisabeth Förster Nietzsche, convinta nazionalista e antisemita,
insieme al marito Bernhard, anch’egli antisemita, si adoperò energicamente per
promuovere il fratello, distorcendo parte del suo pensiero, specie con la
pubblicazione postuma dei frammenti che vanno sotto il nome di “La volontà
di potenza”. I frammenti postumi furono editi tagliando estratti, cambiandone
l’ordine, aggiungendo titoli inventati e passaggi di altri autori. Fondò
il Nietzsche-Archiv, che beneficiò di sostegno economico e
pubblicità dal governo: lei contraccambiava profondendo sul regime il notevole
prestigio dell'eredità morale di Nietzsche. Quando Elizabeth morì nel
1935, ai suoi funerali intervennero svariati gerarchi nazisti, compreso Hitler
stesso.
Se
la storia ha avvicinato due pensieri agli antipodi, lo studio attento e onesto,
scevro da ogni secondo fine e convinzione a priori, ha purificato la filosofia
di Nietzsche, restituendole la dignità e il valore che merita.
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