Aristotele contra Anassagora: νοῦς e materia tra metafisica e cosmologia.

 Introduzione


Aristotele si pone sempre nel solco della tradizione di pensiero che l'ha preceduto, in costante dialogo tanto con Platone e gli Accademici suoi contemporanei quanto con quei pensatori che siamo soliti definire Presocratici. Nella Metafisica Aristotele tesse un costante dialogo con Anassagora di Clazomene. Come notò lo stesso Hegel, Anassagora introdusse per primo il νοῦς come principio « metafisico » fondamentale, determinando fortemente lo sviluppo del pensiero filosofico. Al tempo stesso però questa introduzione porta con sé una precisa concezione dell'ente e del movimento, ossia della materia – quella che à la Heidegger potremmo chiamare una « posizione metafisica di fondo ». È con questa concezione che il progetto filosofico di Aristotele si deve scontrare, nella misura in cui il νοῦς ne costituisce, in un certo senso, la sommità. In questa trattazione cercheremo di ricostruire questo dialogo, esplicito ed implicito, in cui Aristotele « supera » Anassagora. Dovremo determinare alcuni elementi fondamentali:

  • l'intelletto e la materia, innanzitutto secondo Anassagora;

  • l'atto primo secondo Aristotele;

  • il rapporto tra cosmo e principio primo;

  • la questione della necessità del movimento;

  • il rapporto tra metafisica e cosmologia nei due pensatori.

Come vedremo, è anche attraverso il superamento della concezione anassagorea che Aristotele consolida la propria interpretazione dell'essere. Cercheremo di condurre l'interpretazione tendendoci quanto più vicini al testo dello Stagirita, presentando innanzitutto alcuni luoghi in cui il dialogo tra i due filosofi è esplicito. A partire da ciò tenteremo un'interpretazione serrata della dialettica tra le due posizioni. Eventualmente capiremo cos'è veramente in gioco qui per Aristotele.

Ci affideremo primariamente al dettagliato commento a Lambda di Silvia Fazzo, e dove questo risulti manchevole, a quello di Lindsay Judson. Entrambi offrono importanti insight nelle problematiche che stanno alla base della posizione metafisica di fondo di Aristotele.


§1 – Le cause anassagoree.


Il principio del νοῦς viene introdotto da Aristotele già nel contesto « dinamico » del secondo capitolo del libro Lambda. Λ2 è innanzitutto una trattazione circa la possibilità e il senso del movimento (μεταβολή, ma anche e soprattutto κίνησις), il quale è ἐκ τοῦ ἐναντίου.1 Il sostrato, e dunque la condizione di possibilità, la sostanza, di tale movimento è la materia (ὕλη). Infatti, come chiarisce Aristotele, « poiché l'ente è duplice, ogni cosa muta dall'ente in potenza all'ente in atto »2, e solo la materia (ossia l'ente in quanto è materiale) è δυναμένην ἄμφω, « capace di < assumere > entrambi < i contrari > »3. In particolare, la materia coincide con l'ente in potenza – in quanto l'ente può divenire, esso è materiale.4 Poiché qui comincia il riferimento ad Anassagora, citiamo il passo:


« non solo per accidente è possibile che < le cose > divengano dal non ente, ma tutte le cose divengono anche dall'ente [ἀλλὰ καὶ ἐξ ὄντος γίγνεται πάντα], dall'ente tuttavia in potenza [δυνάμει μέντοι ὄντος], mentre dal non ente in atto [ἐκ μὴ ὄντος δὲ ἐνεργείᾳ]. E questo è l'uno di Anassagora [καὶ τοῦτ' ἔστι τὸ Ἀναγόγορου ἕν‧], è migliore infatti del “tutte le cose insieme” [βέλτιον γὰρ ἢ “ὁμοῦ πάντα”] »5.


Qui Aristotele ci dice che le cose mutano, vengono ad essere, non accidentalmente e dal mero non ente, ma della potenza dell'ente (che è lo stesso che la privazione di un atto); e ci dice che questo è il senso dell'uno, reinterpretazione aristotelica del principio dell'ὁμοῦ χρήματα πάντα, « tutte le cose insieme », con cui si apre il libro di Anassagora sulla natura. Col pensiero dell'uno, Anassagora sarebbe allora un anticipatore della materia6, intesa come quella cosa che, in quanto è, è potenza, possibilità del mutamento e del divenire una cosa i contrari.

Una simile nozione di materia non è ancora sufficiente a determinare il senso del divenire, in quanto presenza fin da subito un'aporia. Qual è il senso del non ente così inteso? Infatti la generazione dell'ente avviene sempre da contrari determinati verso contrari determinati, e il « tutte le cose insieme » non può generare alcunché di determinato. La spiegazione di quest'aporia chiama in causa il νοῦς:


« L'intelletto è infatti uno solo [ὁ γὰρ νοῦς εἷς], sicché se fosse stata una sola anche la materia [ὥστ᾽εἰ καὶ ἡ ὕλη μία], si sarebbe generata in atto quella cosa di cui la materia era in potenza [ἐκεῖνο ἐγένετο ἐνεργείᾳ οὗ ἡ ὕλη ἦν δυνάμει] »7.


Da un lato il νοῦς è imprescindibilmente « uno »; dall'altro la materia, qualora fosse « una », sarebbe sarebbe, per così, dire « monopotenziale », così che portata in atto dall'azione dell'intelletto, non potrebbe generare l'evidente molteplicità del sensibile – molteplicità che sia Aristotele che Anassagora ammettono. Qui la molteplicità non è di facile interpretazione: si tratta della molteplicità degli individui (es. a fronte di una specie « uomo », abbiamo Socrate, Callia etc.) o delle specie (es. « uomo », « delfino », « pino »)? Probabilmente però la distinzione qui non vige in modo rigoroso: cause e principi della generazione, ossia del mutamento, sono « due i contrari, dei quali uno è definizione [λόγος], cioè forma [εἶδος], e l'altro è privazione [στέρησις], mentre il terzo è la materia ». Se la definizione è componente essenziale di una sostanza, la privazione si riferisce a caratteri accidentali. Piuttosto qui il molteplice non è che l'ordine delle infinite8 combinazioni in cui si presenta il mondo, che è secondo forma e privazione e materia. In altre parole, il cosmo.

Dunque Aristotele non vede nel νοῦς anassagoreo solamente un principio attualizzante. Nel tradurre il « tutte le cose insieme » in « uno » Aristotele sta mettendo in ordine, come è solito fare, quella che considera essere la posizione di Anassagora. Se ammette che la materia anassagorea possa essere « una », dunque non contenente la ragione dell'ordine del molteplice, dovrà aver preso in considerazione la possibilità che questa si trovi nel νοῦς. Ci rivolgiamo ora ad Alpha meizon, così da introdurci meglio nell'interpretazione che Aristotele dà del νοῦς anassagoreo.

In Alpha meizon la scienza dell'ente in quanto ente è determinata fin da subito come scienza delle cause e dei principi. Le cause « si dicono in quattro modi »9, sono ossia causa formale (τὸ τί ἦν εἶναι), materiale (ὕλη, ossia ὑποκείμενον), motrice (ἀρχή τῆς κινήσεος) e finale (οὗ ἕνεκα καὶ τἀγαθόν (τέλος γενέσεως καὶ κινήσεως). È nella prospettiva del pensiero di queste cause che Aristotele, in questo libro, presenta i suoi predecessori: essi avrebbero, in maniera più o meno parziale o confusa, « per la prima volta »10 teorizzato circa le cause, aprendo la strada alla filosofia prima. Anassagora è innanzitutto presentato nel novero di coloro che avrebbero anticipato la causa materiale. I suoi principi materiali, i quali sono infiniti, sono chiamati da Aristotele « omeomerie » (όμοιομέρειαι), letteralmente « parti simili ». L'ente è omeomeria, ossia, tutti gli enti sono composti di parti simili, così che il movimento può essere pensato non come un venire dal non essere all'essere e un andare dall'essere al non essere, ma, in quanto aggregazione e disgregazione, solo il mutare del già simile nell'ancora simile. In questo senso ὁμοῦ χρήματα πάντα.

Anassagora è detto essere come « un sobrio a confronto dei predecessori che parlavano a vanvera »11 lasciando al caso la responsabilità dell'ordinarsi dell'ente. Per primo egli avrebbe individuato una causa dell'essere e del generarsi gli enti in modo buono e bello (εὖ καὶ καλῶς τὰ μὲν ἔχειν τὰ δὲ γίγνεσθαι τῶν ὄντων12), ossia dell'ordine (τὸν αἴτιον τοῦ κόσμου καὶ τῆς τάξεως13), un'« Intelligenza », appunto il νοῦς. Questo è causa insieme « ordinatrice » e motrice (τὴν τοιαύτην ὅθεν ἡ κίνησις ὑπάρχει τοῖς οὖσιν14).

L'uso esplicativo che Anassagora fa del νοῦς è però immediatamente criticato come poco sistematico.15 In Α4 esso è alla stregua di un artificio cosmopoietico, « tirato fuori » solo per spiegare la necessità del modo di essere delle cose (διὰ τίν᾽αἰτίαν ἐξ ἀνάγκης16), rivolgendosi invece al principio materiale per render conto del loro « mero essere » (αἰτιᾶται τῶν γιγνομένων17).

In Α7 Aristotele riassume, confermando la nostra interpretazione precedente: nella ricerca delle cause, Anassagora ha individuato nelle omeomerie la « materia », e nel νοῦς il « motore », del quale parla come di un bene. Nonostante ciò, esso non è pensato fino in fondo come un « in vista di cui », ma come un ché il quale impartisce buoni movimento cosmici.18 In altre parole, in Alpha meizon il νοῦς anassagoreo è principio cosmopoietico e cosmogonico, e si pone, per così dire, « di fronte » alla materia, rivolto verso di essa. Inoltre, in quanto solo causa motrice, il νοῦς sicuramente non svolge il ruolo di causa formale. Essa, sì, impartisce alla materia (intesa come condizione di possibilità e sostrato del cambiamento) l'aspetto in cui essa deve cambiare, ma tale aspetto è determinato solo dalla proporzione dei tipi di omeomerie.19 Il senso della « forma » in Anassagora resta, per così dire, intrappolato nella materialità del principio, e l'organizzazione è concepita solo come il sempre cangiante strutturarsi del simile. La critica ad Anassagora si fa ancora più serrata in Α8, muovendosi in tre momenti.20 Innanzitutto, è assurdo affermare la mescolanza originaria di tutte le cose tanto in quanto questa presupporrebbe un momento precedente in cui esse non erano mescolate (cosa che impedirebbe in partenza il mutamento) quanto per la casualità della mescolanza. Soprattutto però, tale mescolanza implicherebbe una separazione delle proprietà e degli accidenti dalle sostanze (ὅτι τὰ πάθη καὶ τὰ συμβεβηκότα χωρίζοιτ᾽ἂν τῶν οὐσιῶν21). Com'è noto, per Aristotele gli accidenti sono dipendenti dalle sostanze. Ma qui lo Stagirita non sta solo criticando Anassagora secondo le proprie categorie – piuttosto, mettendo in luce l'assoluta indistinzione tra entità sostanziali e accidentali del principio del sensibile, ne mostra anche l'assoluta indeterminatezza. Per questo motivo può muovere la terza critica su un piano ancora superiore: nell'indefinito migma delle omeomerie nulla si può dire di vero circa le sostanza (οὐθὲν ἦν ἀληθὲς εἰπεῖν κατὰ τῆς οὐσίας22) – a rigore, non si dà alcuna οὐσία , alcun εἶδος – né « un quale, né un quanto, né un qualcosa »23. È così che Anassagora è allora relegato nel novero di quei pensatori che « si trovano a proprio agio solo con i discorsi sulla generazione, la corruzione e il movimento »24, e che ignorando la distinzione tra enti sensibili e non sensibili, non « esercitano la teoria a proposito di tutti gli enti »25, non possono pensare l'ente in quanto ente. La non entità di questo migma è un tutt'uno con l'indefinita mescolazione delle omeomerie (τῶν γὰρ ἐν μέρει τι λεγομένων εἰδῶν ὑπῆρχεν ἂν αὐτῷ, τοῦτο δὲ ἀδύνατον μεμιγμένων γε πάντων26). Cominciamo a capire il perché di quel che abbiamo letto in Λ2 circa l'« uno ». Perché allora l'essere non può esserlo adeguatamente il νοῦς, che pure è non mescolato e puro (ἀμιγῆ μόνον καὶ καθαρόν27)?


§2 – Il primo in atto.


Torniamo a rivolgerci a Lambda. Quello che poi sarà il νοῦς di Aristotele è introdotto in Λ4 come « ciò che, come primo tra tutte le cose, le muove tutte [τὸ ὡς πρῶτον πάντων κινοῦν πάντα] »28. Ma il contesto ci aiuta a capire il senso di questo motore di tutte le cose. Qui, ad esempio, motore è detta la medicina, in quanto muove il corpo verso la salute, e in quanto è essa stessa, in un certo senso, la salute. Motrice qui è la forma, e lo è invero per tutte le cose, sebbene in analogia. Ma il νοῦς non è causa di tutti gli enti in analogia. In Λ5 « il primo in atto [τὸ πρῶτον ἐντελεχείᾳ] »29 è presentato insieme a quelle « cause delle sostanze [che] sono cause di tutte le cose »30. Ma Aristotele dice molto di più:


« le cause delle sostanze sono cause di tutte le cose, perché, una volta distrutte, < tutte le cose > sono distrutte. Inoltre c'è il primo in atto »31.


Come nota Fazzo nel suo commento a Lambda, ciò significa innanzitutto che la sostanza è centro e fondamento dell'essere di ogni cosa: venuta meno la sostanza, viene meno tutto ciò che le è relativo.32 Ma è evidente che nella prospettiva di un account dinamico della necessità dell'essere dell'ente (e dunque del movimento: è infatti « impossibile che il movimento o si generi o si distrugga »33), questo non basta: le sostanze possono distruggersi, in quanto le loro cause (ta ton ousion aitia) possono venir meno (e il movimento arrestarsi). Causa delle sostanze è infatti anche la materia, per la quale le cose sono soggette a generazione e corruzione. V'è dunque la possibilità di una distruzione dell'ente. Garante della necessità dell'essere dell'ente, ossia del permanere delle sostanze sul fondamento della loro causa, e dunque κινητικὸν e ποιητικόν 34, è il primo in atto. La necessità di una causa motrice prima, eterna, immateriale e in atto è dunque dimostrata « funzionalmente » (per questo motivo Berti e Fazzo leggono energheiai a 1071b2335).

L'aporia che viene affrontata nella seconda metà di Λ6 porta l'argomentazione ad un livello superiore.


« Tuttavia < sorge > un'aporia: sembra infatti che tutto ciò che agisce, possa < farlo >, mentre non tutto ciò che può < farlo >, agisce, cosicché la potenza sarebbe anteriore. Ma, se < è > così, potrà non esserci nessuno degli enti; è possibile infatti che < ciascuno di essi > possa < esserci >, ma ancora non ci sia. »36


La posta in gioco è alta. Se l'aporia non fosse risolta, tutto l'ente deriverebbe « dalla notte e dall'insieme di tutte le cose e dal non ente »37, e dunque sarebbe gettato in un'assoluta contingenza e al di là di ogni possibile scienza dell'ente. Tale aporia capitale chiama esplicitamente in causa Anassagora in due momenti. Da una parte quest'impossibilità (ἀδύνατον) del movimento in mancanza di una causa in atto (ἐνεργείᾳ τι αἴτιον) è presente nella teoria dell'ὁμοῦ πάντα χρήματά.38 Dall'altra però, « ὅτι δ᾽ἐνέργεια πρότερον, μαρτυρεῖ Ἀναξαγόρας (ὁ γὰρ νοῦς ἐνέργεια) »39. L'intelletto, in quanto sempre in atto (ma non ancora essenzialmente atto, come dovrà invece dedurre Aristotele), intende già l'eternità del movimento. Ma basta questo νοῦς a garantire che questo movimento non sia fortuito, e dunque che sia fondato, e non sopraggiunga alla materia solo « dopo », attraverso l'opera del νοῦς (infatti οὐδὲν γὰρ ὡς ἔτυχε κινεῖται40)? Non è infatti abbastanza concepirlo come un'« irrequietudine » migmatica cui viene costantemente impartita una forma. Come enfatizza Fazzo, il problema del movimento è « come si possa porre, e giustificare nel pensiero, l'esistenza di un atto eterno »41. L'eterna κίνησις può allora essere γένεσις καὶ φθορὰ42 della sostanza, ossia passaggio dalla potenza all'atto secondo la regola/necessità dell'anteriorità dell'atto, sotto l'egida di un simile νοῦς?


§3 – L'intelletto come στρατηγός, il cosmo come οἶκος.


Quella che abbiamo visto fin'ora è una speculazione fortemente metafisica, ossia orientata alla ricerca delle cause prime dell'ente e del suo movimento, e tale è la critica che Aristotele volge ad Anassagora. In §1 avevamo enfatizzato il carattere cosmogonico della posizione di di quest'ultimo. Vedremo come, più precisamente, le sue mancanze metafisiche sembrano dipendere proprio da questo carattere. Per Aristotele l'ordine del cosmo non può essere posto estrinsecamente rispetto alla natura causale di materia e intelletto, come un ché di contingente. L'anteriorità dell'atto è allo stesso tempo ciò che garantisce la necessità dell'azione ordinante ed efficace (κίνησις e ποίησις). Ma questa può essere posta solo se si interpreta adeguatamente la causalità che necessariamente il νοῦς esercita. Il νοῦς di Anassagora non può svolgere la sua funzione ordinante proprio in virtù della sua natura esclusivamente motrice, il cui atto non è pensato con sufficiente necessità. È per questo che il principio primo deve essere motore immobile.

Ora, tra Λ6 e Λ7 troviamo una peculiare unione dei due livelli, così che la cosmologia, ossia lo studio di quella necessità cinetica di un primo in atto che muove il cosmo celeste e terrestre, sfumi verso un momento assolutamente metafisico, se non addirittura teologico, in cui l'atto necessario e motore immobile κινεῖ δὴ ὡς ἐρώμενον, κινούμενα δὲ τἆλλα κινεῖ43, e questo poiché è νόησις νοήσεως, θεῖον e ζωή.44 Dopo una ecfrasi astronomica in Λ8 e il chiarimento di alcune aporie dell'intelletto in Λ9, in Λ10 viene finalmente tematizzato il senso dell'ordine cosmico, proprio in dialogo con Anassagora.

Come abbiamo già accennato prima, quando si parla di ordine si parla dell'essere gli enti in modo « buono ». In prima battuta Aristotele pone la domanda sulla natura del bene e dell'ottimo (τὸ ἀγαθὸν καὶ τὸ ἄριστον) in rapporto alla totalità dell'ente (ἡ τοῦ ὅλου φύσις).45 Due immagini vengono adoperate da Aristotele per render conto del rapporto che intercorre tra il bene e l'ente ordinato e del tipo di ordine di cui si parla: quella della τάξις militare e quella della casa, con i pochi padroni ἐλεύθεροι e il suo stuolo di schiavi.

Il bene « riguarda l'ordine, sta nell'ordin dell'intero universo »46. Infatti nello « schieramento » dell'ente (ἐν τῇ τάξει) sta lo stare in modo buono dell'ente (τὸ εὖ) e lo stratega (καὶ ὁ στρατηγός), e maggiormente quest'ultimo (καὶ μᾶλλον οὗτος). Lo « stratega » è il motore immobile. In che senso esso è nell'ordine ancor più di quanto non vi sia lo star bene dell'ente? Probabilmente, come afferma Fazzo, il senso di quest'espressione è « l'appartenenza di tutti gli enti e di tutte le sostanze, anche di ciò che è ottimo, ad un unico ordine »47. Bisogna tener conto del fatto che il motore immobile è insieme atto puro e causa, diretta o indiretta, dell'essere di tutte le cose in virtù del suo essere oggetto d'amore, ossia causa finale. Come lo stratega che è scelto dai cittadini viene seguito in quanto è il migliore, così tale sostanza prima è scelta dagli enti nel loro muoversi e prodursi. In questo senso questo stratega cosmico è nell'ordine più del mero stare bene: è in virtù della sua natura (come pensata in Λ7), e dunque in quanto sostanza, che esso è causa di ogni ente nel suo movimento ordinato dalla potenza all'atto.48 Come il medico pensa la salute, ne condivide la forma sotto forma di arte medica, e impartisce la cura al paziente, così i cieli pensano l'atto primo, e coincidendo pensante e pensato, impartiscono un movimento ordinato.

L'ordine non è spiegato meramente dicendo che l'ente è ordinato in virtù dell'ordine (del τὸ εὖ), bensì in virtù di un ente che può essere pensato autonomamente, nella propria essenza di νοῦς. Il νοῦς non pensa che sé stesso, è vero. Ma è grazie a questo suo carattere – mi si passi il termine – aristocratico che Aristotele può pensarlo tanto in sé stesso quanto nel suo essere causa (finale). Contro l'interpretazione di Berti49, non possiamo dire la τάξις (« buon muoversi » delle sostanze sensibili eterne ed intelligenti o corruttibili) e ὁ στρατηγός contrapposti, poiché si coappartengono essenzialmente: in virtù di ciò che è (νοῦς), esso è motore immobile, e dunque ἀρχή dell'ordine intero. Di tale ordine la seconda immagine è allegoria.50

Essa innanzitutto intende il modo in cui gli enti sono coordinati tra di loro in riferimento a qualcosa di unico51: abbiamo i « signori » del cosmo, ossia i cieli, i quali pensando il bene lo amano e lo seguono, e gli « schiavi », le sostanze sublunari che seguono meccanicamente gli ordini impartiti dai primi, facendo μικρὸν τὸ εἰς τὸ κοινόν – proprio perché, non pensando direttamente l'ἀρχή dell'ordine generale, non vi sono coessenziali. In secondo luogo essa introduce, dando dunque la chiave di lettura, al confronto con le dottrine dei predecessori, come rende evidente il linguaggio « presocratico » nella spiegazione dell'immagine della casa:


« Intendo, per esempio, che per tutti arriva inevitabile il momento di dissolversi (διακριθῆναι), e che in questo e altri modi siffatti tutti partecipano dell'economia dell'universo (ὧν κοινωνεῖ ἅπαντα εἰς τὸ ὅλον) »52.


I diversi gradi di ordine all'interno del cosmo vanno allora intesi come gradi del movimento di generazione e corruzione. In particolare, il movimento è da pensarsi ex contrariis:


« Tutti fanno derivare [ποιοῦσι] tutte le cose da contrari. Ma né il « tutte » né il « da contrari » è detto in modo corretto, né essi dicono, a proposito delle cose in cui sono presenti i contrari, come esse saranno costituite da contrari; i contrari infatti non possono partire gli uni da parte degli altri. Per noi invece questo < problema > si risolve ragionevolmente grazie all'esserci alcunché di terzo »53.


Come abbiamo già accennato, per Aristotele è la materia a essere terza parte. Mancando il terzo, le teorie dei predecessori sono costrette a porre la materia come uno dei contrari, e come l'altro il bene. Se leggiamo inoltre, come suggerisce Fazzo54, ἀπαθῆ γὰρ τὰ ἐναντία ὑπ᾽ἀλλήλων (1075a30-31) con ou gar ta enantia metaballei (1069b-7), dobbiamo immaginare che in qualche modo il contrario muti nel contrario. Ciò non può che rendere difficile determinare che genere di cause sono intelletto e materia, bene e male.55

Questo problema è presente nella dottrina di Anassagora.56 Per Anassagora l'intelletto è ἀρχή ὡς κινοῦν, come già abbiamo visto. Donde viene l'ordine? Secondo Aristotele, il νοῦς anassagoreo « muove in vista di qualcosa, per cui < questo qualcosa > è diverso, salvo che sia come diciamo noi: la medicina infatti è in qualche modo la salute »57. Il νοῦς sarebbe dunque intelligente, capace di pensare un bene esterno, e dunque muoversi di conseguenza. Mettendo in ordine il pensiero di Anassagora, Aristotele ammette che questo « altro » potrebbe essere non diverso dal νοῦς stesso, alla maniera in cui medicina e salute condividono la stessa forma. Ricorre dunque alla coincidenza di pensiero e pensato: il νοῦς è il bene che, in quanto pensa sé stesso, può muovere ordinatamente il mondo. Ma anche così violentemente emandata, basta una simile posizione?

Il νοῦς dovrebbe trarre da sé la regola dell'ordinare i processi di generazione e corruzione delle omeomerie. Ricordiamo infatti che, qua cause materiali, le omeomerie hanno il difetto di una « monopotenzialità » cui il νοῦς dovrebbe supplire. Ma quali sono i contrari nell'impianto metafisico di Anassagora? Aristotele segnala questo come un vero e proprio « buco nella teoria »:


« Assurdo è anche il non aver posto il contrario del bene e dell'Intelletto [ἄτοπον δὲ καὶ τὸ ἐναντίον μὴ τῷ ἀγαθῷ καὶ τῷ νῷ], ma tutti quelli che ammettono i contrari non fanno uso dei contrari, se qualcuno non mette ordine »58.


Una simile critica può sembrare strana a prima vista. Innanzitutto, essa sembra essere in contrasto con uno dei caratteri primari della filosofia aristotelica, « che ciò che è primo non ha contrario, e che la conoscenza di ciò che è primo non ha contrario (1075b22-24) »59.

Inoltre, e soprattutto, non v'è già un « contrario » dell'intelletto, ossia la materia stessa? In un certo senso, sì. Ma se pensiamo fino in fondo la materia come contrario in un sistema a due soli principi, ci ritroveremmo ben presto con un contrario completamente trasmutato nell'altro. (Come vedremo, i soli contrari non sono poietici.) Se anche l'intelletto fosse capace di impartire forme compositive molteplici (e non lo è), prima o poi il cosmo sarebbe statico e il movimento cesserebbe (il contrario di « tutte le cose insieme » è una separazione totale). La « monopotenzialità » delle omeomerie è allora l'altra faccia della natura meramente motrice del νοῦς. Quest'ultimo a sua volta non può muovere secondo un fine esterno. Esso è infatti pensato come ἀμιγῆ e sempre in atto. Ma non può essere tale ciò che trae il proprio atto da un che di esterno. Né può il νοῦς trarre entrambi i contrari come regole del mutamento (così da bilanciare tra l'assoluta mescolazione e l'assoluta separazione) dal pensare sé stesso – se non violando il principio di non contraddizione.60


§4 – Gli opposti.


Senza dubbio curioso è che, nello spiegare il senso dell'immagine della casa, più che la generazione Aristotele enfatizzi il ruolo cosmico del διακριθῆναι, della corruzione dell'ente, in un certo senso del suo non essere. E lo è ancora di più se consideriamo che, sul finire di Lambda, Aristotele lamenta delle dottrine dei predecessori la loro incapacità di distinguere tra cose corruttibili e incorruttibili61; di superare l'aporia del mutamento dal non ente; di dimostrare ἔτι διὰ τί ἀεὶ ἔσται γένεσις καὶ τί αἴτιον γενέσεως.62

Commentando questo passo, Fazzo pone in luce un aspetto cruciale: Λ10 è come un « “epilogo dell'epilogo” […]: come un epilogo, cioè, non solo del libro Lambda in sé, ma della complessiva operazione e volontà di sintesi che il libro Lambda attesta, »63. Questo carattere sommitale e insieme problematico di Λ10 raccoglie una serie di problemi che abbiamo incontrato strada facendo: quello della materia e del mutamento, quello della necessità dell'atto e del cosmo, quello eziologico, e così via. L'enfasi posta in questo luogo da Fazzo sull'« “aporia degli antichi” »64, ossia il problema della generazione dell'ente dal non ente – dalla « notte » di cui abbiamo accennato in §265 – ci suggerisce che il problema cruciale qui sia quello del trarre, per così dire, con intrinseca e ordinata necessità, e ad un livello globale, l'ente dal non ente.66 Per Aristotele la posta in gioco è alta, e il dialogo con Anassagora permette allo Stagirita di affrontare questa questione, insieme metafisica e cosmologica67, alla luce di una teoria del principio primo, cinetico-poietico, come νοῦς, motore immobile e causa finale.

Il riferimento agli enti corruttibili o eterni torna proprio al chiudersi di Λ10. La distinzione è infatti fondamentale: « se non vi saranno altri < enti > oltre a quelli sensibili, non vi saranno un principio, un ordine, la generazione e i < movimenti celesti >, ma vi sarà sempre un principio del principio, come per i teologi e tutti i fisici »68, Anassagora compreso. Aristotele si muove nella direzione dell'affermare che lì dove si fa venire l'ente direttamente dal non ente, dunque lì dove è il contrario stesso a mutare nel suo contrario, si dà un regressus ad infinitum, e dunque nessun vero e proprio principio.69 È nel passo successivo che il rapporto essenziale tra metafisica e cosmologia è più evidente:


« Inoltre nessuno dei contrari sarà ciò che è precisamente capace di produrre (ποιητικὸν) e di muovere (κινητικόν), perché potrebbe anche non essere. Ma il produrre è comunque posteriore alla potenza. Quindi non ci sarebbero enti eterni. Invece ce ne sono. Allora bisogna eliminare qualcuna di queste cose. È stato detto come fare questo »70.


Il rimando è a Λ6, dove è mostrato che un movimento eterno (come quello dei cieli) richiede una causa che non sia un contrario, dunque che sia sempre in atto e che non contenga potenza, e che sia efficiente.71 Cos'è che è eliminato allora?

Nel suo commento a Lambda, Judson offre una lettura estremamente organica di questo passo. Ciò che deve essere eliminato è « the idea that all the principles are opposites »72, de facto la metafisica dei contrari. È questo il « cambio di paradigma » che Aristotele sembra operare, consciamente, non solo sul piano dell'ente in generale, ma anche e soprattutto su quello cosmico. In una metafisica dei contrari, se tali contrari sono principio di generazione e corruzione,


« An opposite can fail to be, by giving way to its opposite; this means that opposites have the potentiality for being and not being, and hence, if able to act on things or to cause motion, must have the potentiality for being able to act in these ways and not to act. In turn this means that any such acting is posterior to the potentiality in question »73.


Judson enfatizza come la necessità di questo cambio di paradigma derivi dall'esistenza di « eternal things which change eternally »74. Il riferimento è naturalmente ai cieli, i quali, incorruttibili, pensando e amando il νοῦς, sono attualizzati in un eterno movimento circolare (possibile in virtù di una materia topica75), vera e propria immagine mobile dell'eternità dell'atto primo, la quale impartisce gli ordini agli enti sensibili.

A questa necessità noi dobbiamo accostarvi quella dell'anteriorità dell'atto, così che il produrre e il movimento non siano posteriori alla potenza, e dunque solo possibili. Sul piano delle cause allora è necessaria una causa che sia già da sempre in atto, poietica e motrice, e quindi che il movimento sia sempre. Come già accennato, che il movimento muti nel suo contrario per Aristotele è impossibile.76 Ma questo significa dunque che come ci deve essere sempre un motore immobile, così vi dovrà essere, come suo corrispettivo, qualcosa che mantenga sempre la possibilità dell'essere e del non essere – dunque non un contrario che si risolva completamente nel suo contrario, ma appunto un terzo, il soggetto (ὑποκείμενον) del mutamento: la materia, ossia la sostanza in quanto è materiale.


§5 – Metafisiche a confronto.


È ora possibile, finalmente, confrontare le posizioni di fondo dei due filosofi, fondate su diverse interpretazioni del νοῦς e della materia, e vedere come la posizione di Aristotele non solo supera le aporie di quella di Anassagora, ma offre un modello che integra la scienza dell'ente e delle sue cause in generale con quella del cosmo. In particolare, a dominare è l'interpretazione dell'ente come atto, la quale si riflette su entrambi i livelli. È proprio su questo punto che la posizione di anassagorea mostra il suo limite costitutivo.

La materia di Anassagora è un uno indistinto di omeomerie, la cui unica possibilità di movimento sta nel divenire essa stessa il contrario di sé stessa sotto la spinta del νοῦς. Concepire l'ente come omeomeria significa però la separazione di sostanze e accidenti – ossia, la non-sostanzialità dell'ente. Non v'è infatti una substantia del movimento, ma è l'omeomeria stessa che muta nel suo contrario. Ciò non è in contraddizione con il principio dell'ὁμοῦ πάντα, al contrario: proprio perché il movimento dell'ὁμοῦ πάντα è solo un passaggio dal simile al simile, allora bisogna presupporre, se la materia è un contrario sottoposto ad un principio motore, che « le cose avrebbero dovuto esistere prima come non mescolate »77 – e che potenzialmente potrebbero tornare ad esserlo. L'essere tutte le cose insieme è allora come uno stato « intermedio », e la cosmologia di Anassagora è necessariamente anche una cosmogonia. Poiché inoltre « non è possibile che una cosa a caso si mescoli con una cosa a caso »78, si richiede il ruolo di un νοῦς. Tale νοῦς è la causa supposta impartire l'ordine all'ente, che insieme è quello stato di mescolanza in cui tutte le cose sono insieme e il movimento è dal simile al simile. Come abbiamo visto, le sue aporie sono però insolvibili – anzi, la sua inefficacia come principio è parallela alla natura migmatica dell'ente. Allo stesso tempo, eliminando il non ente dal movimento, Anassagora perde la possibilità di render conto della necessità dell'ente – non riesce a connettere in maniera efficace la sua « ontologia » con la sua cosmologia. Per quanto riguarda la cosmopoiesi, allora, il νοῦς resta solo un artificio. Esso non può impartire alcuna regola al mondo perché, come abbiamo visto, né può trovarla al di fuori di sé (il ché implicherebbe una passività79, financo una materialità alla maniera delle sfere celesti), né dentro di sé (venendo così scisso in due pensieri contraddittori80).

Come abbiamo visto, Aristotele riconosce ad Anassagora l'aver testimoniato un fatto cruciale, la congiunzione dell'intelletto come atto e l'anteriorità dell'atto (Λ6.1072a5). Il limite di Anassagora infatti non sta direttamente nel νοῦς, ma innanzitutto nella materia, la quale a sua volta richiede una nozione di νοῦς insostenibile. Più in generale, questa è la colpa propria di ogni metafisica dualistica, ma anche e soprattutto di quell'interpretazione del movimento che non riesce a coniugare ente e non ente. Ed è proprio il nuovo paradigma interpretativo della potenza e dell'atto che permette allo Stagirita di arrivare in Λ7, per via di una scienza delle cause dell'ente, all'interpretazione del νοῦς come νόησις νοήσεως, il pensiero più alto – un principio primo eternamente in atto, autosussistente e pensabile esclusivamente a partire da sé stesso, in cui intelletto, intelligibile e intelligenza coincidono. L'intera cosmologia può così, letteralmente, « ruotare » attorno al motore immobile. Proprio in quanto l'ente è dinamico, esso può « tendere » verso questo principio primo come oggetto d'amore – più in particolare, il cosmo intero è organizzato, come una casa aristocratica, in « movimenti » più o meno essenziali, e come un esercito, la cui τάξις è insieme l'ordine, la strategia e l'οὐσία dello stratega cui esso si rivolge.

Infine, proprio poiché ha superato Anassagora – il quale, proprio in quanto introduce il νοῦς, rappresenta una filosofia ancora primitiva al limite delle proprie capacità scientifiche – Aristotele può allora intendere l'ordine dell'ente, lo stato delle cose per come ci si manifesta, come essenzialmente necessario, al punto da potervi integrare il dissolversi dell'ente. Qui viene operata un vero e proprio riassorbimento del non ente. Così il dissolversi delle cose partecipa all'economia cosmica senza il rischio del dissolversi di ogni cosa. Dove i presocratici vedevano il non essere, in assoluta contraddizione con l'essere, Aristotele vede l'aspetto dinamico dell'ente, il quale è ciò che permette al mondo intero di essere sussunto, e attualizzato, sotto l'atto eterno dell'Intelletto divino.


Bibliografia.


Aristotele, Metafisica, trad. it., introduzione e note a cura di E. Berti, Laterza, Bari-Roma, 2017.

Aristotele, Metaphysic, book Λ, trad. e ing. e commento di Lindsey Judson, Clarendon Press, Oxford, 2019.

Silvia Fazzo, Commento al libro Lambda della Metafisica di Aristotele, Bibliopolis, 2014.



1Metafisica, 1069b5.

21068b15.

3Ibidem.

4Cfr. Silvia Fazzo, Commento al libro Lambda della Metafisica di Aristotele, Bibliopolis, 2014, p. 127.

51069b19-20.

61069b24.

71069b30.

8Cfr. 988a25, dove Aristotele far riferimento al τὴν τῶν ὁμοιομερῶν ἀπειρίαν di Anassagora.

9Cfr. ad es. 983a25 circa.

10984b10 circa.

11984b15.

12984a10.

13984a15.

14984b20.

15Cfr. 985a18.

16985a19-20.

17985a20. Il senso di queste due espressioni diverrà può chiaro con lo svolgersi della trattazione.

18Cfr. 988b9-11.

19Le omeomerie non sembrano sapere come organizzarsi, se non per attrazione tra simili, la quale però non potrebbe produrre la pur organizzata mescolanza sensibile.

20Cfr. 989a30 / b1.

21989b1.

22989b5.

23989b10, p. 39.

24989b20, ibidem.

25989b25, ibidem.

26989b13.14

27989b15

281070b34-35.

291071a35.

301071a30.

31Ibidem.

32Fazzo, 2014, pp. 267-268. Nota inoltre come glissa sul passo in esame.

331071b5-10.

341071b12-2.

35Cfr. Lambda, nota 55.

361070b20-25.

371072a19-20. Cfr. Fazzo, 2014, sull'ottativo, « bisogna che queste difficoltà si risolvano », pp. 295-296.

38Cfr. 1071b25.

391072a5.

401071b34-35.

41Fazzo, 2014, p. 277.

421072a10

431072b1.

44Cfr.1072b15-30. Il contenuto speculativo di questa sezione di Λ7 è troppo profondo per essere affrontato in questa sede.

451075a11-12.

46Fazzo, 2014, p. 390.

47Ivi, p. 393.

48Cfr. 1975a15.

49Cfr. Lambda, nota 114.

501075a19-22

51Cfr. 1075a16-19: πάντα δὲ συντέτακταί πως, ἀλλ᾽ οὐχ ὁμοίως. […] πρὸς μὲν γὰρ ἓν ἅπαντα συντέτακται.

521075a23-25, Fazzo, 2014, p. 397.

531075a28-32.

54Fazzo, 2014 p. 400.

55Cfr. 1075a39.

561075b8-12

571075b9-10.

581075b-10-12.

59Fazzo, 2014, p. 406. La soluzione di questo problema implicherebbe passaggi aristotelici estranei alla filosofia di Anassagora, cfr ivi, p. 407.

60Questi problemi sono parallele alle aporie di Λ9.

61Cfr. in questo senso già 989b22 in Alpha.

62Cfr. 1075b13-17.

63Fazzo, 2014 p. 410.

64Ivi, p. 409 (cfr. Phys, 191a23s).

65Cfr. 1072a19-20.

66Per questo motivo Lambda si presta così facilmente a interpretazioni teologizzanti.

67Secondo Fazzo Lambda sarebbe per l'appunto un trattato di « “filosofia prima della natura” » (p. 410), in cui le questioni fisiche (come appunto il movimento e l'ordine) « sono rilevanti per la filosofia prima » (ibidem), ossia per le questioni circa la sostanza e le cause e i principi primi dell'ente.

681075b24-27.

69Cfr. Fazzo, 2014, p. 412.

701075b30-33.

71Cfr. Lambda, nota 130.

72Aristotele, Metaphysic, book Λ, tradotto e commentato da Lindsey Judson, Clarendon Press, Oxford, 2019, p. 362. Fazzo invece, stranamente, non commenta questo passo.

73Ivi, p. 361.

74Ibidem.

75Cfr. 1068b24-26. Vedi inoltre Fazzo, 2014, p. 128.

761071b5-10

77989b1.

78Ibidem.

79Cfr. Fazzo, 2014, p. 381, in riferimento alla dottrina del De anima.

80Cfr. ad es. 1075a6.

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