Lockdown is reopening, reopening is lockdown. La proposta di Timothy Morton tra ontologia e pandemia.


Il 30 ottobre 2020 il MACRO (Museo d'Arte Contemporanea di Roma) ha ospitato il filosofə ecologista Timothy Morton per una conferenza dal titolo quantomai tempestivo: Lockdown is reopening, reopening is lockdown.1 A prima vista il senso di quest'espressione è evidente, abituati come siamo alle visioni economiciste: lockdown significa riaprire presto, tenere aperto significa invece andare incontro a un aggravamento della crisi pandemica e ad un consequente lockdown. Se questo è evidentemente vero – perché è quanto sta accadendo –, visioni così grettamente economiche e utilitaristiche sono aliene dal pensiero di Morton e, soprattutto, dal contenuto di questa lezione. Lockdown is reopening, reopening is lockdown è infatti ben più che una semplice « spiegazione » di « fatti ». Essa è piuttosto una performance-lecture.

Tim Morton presenta la lecture variando sul celebre « Imagine there's no heaven » di John Lennon, trasformandolo però in una forma espositiva dalle precise implicazioni etiche, metafisiche ed epistemologiche. Ogni frase comincia così: « Imagine there's no progress » (00:26), « Imagine there's no inside. Imagine there's no outside » (4:03), « Imagine there's no natural. Imagine there's no unnatural » (8:13), « Imagine lockdown means reopening. Imagine reopening means lockdown » (8:44), e così via. Nelle centinaia di cose che l'ascoltatore è chiamato a immaginare, questa lecture è un turbinio di temi, immagini, argomenti. Morton spazia infatti dall'ontologia – la sua ontologia, la Object Oriented Ontology (OOO), corrente di cui è uno dei massimi esponenti – ai temi di giustizia sociale, come il patriarcato e la transfobia, dalla critica al capitalismo ad una nuova interpretazione dell'alienazione e della storia. Seguire il filo nascosto dell'argomentazione diventa quasi impossibile.


Immaginazione, emozione e ontologia.


Prima di cercare di capire cosa Morton ha voluto dire, nello spazio di quest'intima conferenza, dobbiamo capire come l'ha detto. Il tema dell'immaginazione è centrale, evidentemente. Cos'è però l'immaginazione? Poiché Morton – com'è ormai d'obbligo in questo ventunesimo secolo – è un filosofə particolarmente social, è normale se cerchiamo la risposta sul suo profilo Instagram (post del 30 ottobre, sul profilo tim303). L'immagine è « performance of the will ». L'immaginazione supera la credenza, il tener qualcosa per vero, ed è reale al di là del nostro crederci – « it supersedes whatever reality is by far ». Ascoltare e assistere a questa performance-lecture, in altre parole, invita a superare la realtà e ciò che si crede, non attraverso argomentazioni cogenti, bensì bypassando direttamente il reame della credenza.

Nel question time Morton fa un paio di affermazioni molto interessanti, che non solo aiutano a capire l'intera performance, ma forse propongono anche nuove possibilità alla filosofia stessa. In primo luogo, afferma che le idee sono il passato, le emozioni (feelings, ma anche emotions) sono il futuro. In secondo luogo, si propone di sciogliere le ragioni in sensazioni (to let reasons melt down into feelings).

Morton sta qui soltanto relegando le idee al vecchio passato metafisico, per annunciare un futuro di emozioni e olismo hippie? Difficilmente – alcune frasi della lecture sono, infatti, comprensibili solo per chi abbia dimestichezza con l'ontologia della OOO e con le analisi che Morton porta avanti, fin dal suo Ecology without Nature, con dovizia di ragioni. Le ragioni (rationes), come da tradizione decostruzionista, tendono a fossilizzare il reale nel passato, anzi, più precisamente a fissarlo, così da impedirne un'espressione sempre nuova. Inoltre, se il passato è ciò che determina, e ugualmente il reale è considerato essere determinato da ragioni, allora queste ragioni saranno sempre « passato ».

Ma se così è, perché le emozioni sono futuro? Non è vero che i feelings presenti sono sempre e-motions, ciò che ci muove e quindi ci determina? È evidente che Morton pensa le emozioni e le sensazioni in modo completamente diverso. Per il filosofə, le emozioni, per così dire, vengono dal futuro. Esse permettono, per usare un'espressione tipica di Morton, di « sintonizzarsi » con il reale in quanto non si è ancora espresso, nella sua espressione imprevedibile perché non ancora sottomessa alla prevedibilità delle ragioni. Il futuro vero e proprio è, come spesso si afferma in Hyperobjects, futuro futuro.2 Il futuro delle previsioni, dei calcoli e del « succederà così e così », è un futuro già passato. Il futuro futuro è quel futuro la cui futuralità è ancora da venire, e che forse non arriverà mai. Nei suoi confronti non possiamo provare né speranza (ragionevole previsione accompagnata da felicità, per dirla alla Spinoza), né paura (ragionevole previsione accompagnata da dolore). Questo futuro futuro è allora sempre, paradossalmente, irrimediabilmente troppo presente – è già qui, e nei suoi confronti arriviamo sempre troppo tardi. Per questo esso scioglie ogni ragione nella purezza della situazione emotiva.

Sciogliere le ragioni in emozioni significa allora questo: rimettere l'ascoltatore alla situazione emotiva adeguata a ciò che di imprevedibile è già qui. È per questo che, nel corso dell'incontro, Morton ha spesso ripetuto che ad oggi non scriverebbe mai il suo Hyperobjects. Questo libro esprime infatti con argomentazioni metafisiche ciò che l'angoscia di fronte alla pandemia di coronavirus rende evidente « al cuore » – almeno per chi è disposto a « sintonizzarsi » con il coronavirus.

Iniziamo allora a comprendere che significa immaginare per Morton. L'immaginazione non pensa solo il possibile – non è un ragionevole calcolo di ciò che realmente potrebbe accadere ma ancora non è accaduto. Essa non è « reale », bensì supera la realtà e il realmente possibile. L'immaginazione pensa il possibile possibile – quella possibilità non reale, ma ancora solo possibile, la cui realtà è pensabile solo contro la realtà presente.

Futuro futuro (che è il possibile possibile), emozione e immaginazione costituiscono la triplice chiave attraverso cui bisogna ascoltare l'intera performance-lecture.


Ecologia ed empatia col non-umano.


Offrire una sinossi di tutti i temi presenti nella lecture è quasi impossibile, e invero poco pratico – lo stesso Morton non sembra seguire una logica specifica. Come gli oggetti nella flat ontology della OOO, così in questa lecture ogni tema mantiene la stessa dignità. La metafisica interseca la critica al capitalismo, il femminismo si mischia con la filosofia dell'arte e della scienza.

Morton esordisce così: « Imagine there's no progress. Imagine there's no speed. […] Imagine there's no plantation. […] Imagine there's no away. Imagine there's no background. Imagine there's no foreground. Imagine there's no nature » (00:26). Siamo fin da subito nel pieno della critica ecologista non solo al capitalismo, ma alla metafisica occidentale stessa, che per Morton (sulla scorta dell'interpretazione heideggeriana della tecnica), porta il nome di agrilogistica3 : « Imagine there's no agrilogistics ». L'agrilogistica è quell'ontologia per cui noi, uomini ancora mesopotamici, releghiamo l'essere dell'ente in un altrove, « away », intoccabile: se togliendo filo d'erba dopo filo d'erba un campo non scompare, la costruzione di un parcheggio non distrugge assolutamente nulla. 4La « natura » è l'altrove per eccellenza. (Un altro nome, più heideggeriano, per l'agrilogistica è trascendenza – per questo motivo Morton dice insieme: « Imagine there's no metalanguage. Imagine there's no nature » (11:19).)

Ogni « Imagine » si propone di scardinare una forma di differenza, di « relegazione all'altrove ». Viene raggiunto un livello di assoluta « intersezionalità », in cui ogni oggetto / tema è assolutamente collegato, in maniera più o meno evidente, con ogni altro. Così facendo Morton può attaccare uno dopo l'altro i binarismi dell'ontologia (da quello antropocentrico tra natura e non-natura a quello di genere, ad esempio), accostare Hegel e Ben Shapiro, e immaginare « David Attemborough doing a show about whiteness, the same as the show about plastic » (9:44). Razzismo e inquinamento hanno la stessa radice.

Ma l'ecologia di Tim Morton non è soltanto una teoria critica. Il filosofə propone un' « estetica », la quale vuole abolire la distanza estetica tra l'uomo e gli oggetti – l'uomo e la biosfera, l'uomo e il riscaldamento globale, l'uomo e il razzismo, e così via. Propone una struttura di sentimento che è al tempo stesso sognante, utopista, malinconica, realista, fortemente vicina alla scienza contemporanea e assolutamente estranea a ogni riduzionismo o scientismo.

Due riferimenti mettono innanzitutto in luce questa est-etica ecologica, quello a Greta Thunberg e quello a David Attemborough, entrambi figure chiave e influencer dell'ecologismo contemporaneo. Immaginiamo, ci chiede Morton, che non vi sia alcuna « innocent unspoiled nature of children » (6:09) – nessun fanciullino, nessun nido. Immaginiamo dunque che il simbolo di una simile natura non sia una ragazza sfruttata dai media come Greta Thunberg proprio per la sua immagine di innocenza – immaginiamo che Greta Thunberg sia andata a scuola. Immaginiamo, in altre parole, che l'ecologia non si nutra del mito della natura incontaminata – come è incontaminata la ragazza che la difende – e estrinsecamente violentata dall'uomo – un uomo facile da individuare, tralaltro, nel Trump che si scaglia contro la giovane attivista. Ecology without nature (titolo di uno dei più importanti saggi di Morton) significa anche ecology without Greta Thunberg, e dunque ecology without Donald Trump – un'ecologia senza facili vie di fuga, dove il riscaldamento globale ci sommerge nell'intimo.5

Immaginiamo poi che David Attemborough faccia un reality show « where he does jobs for us » (10:00), e che in tv non vi sia nient'altro. Recentemente è uscito su Netflix il documentario A Life on Our Planet. Qui il celebre naturalista e divulgatore britannico, ormai novantaquattrenne, offre la testimonianza di come, durante la sua vita dedicata a studiare e raccontare la natura e la sua biodiveristà, si sia reso progressivamente conto dell'estinzione di massa a cui stava (e stiamo) assistendo in tempo reale. Questo è il lavoro che Attemborough ha fatto per noi, ed è questa testimonianza dell'immane perdita di biodiversità nell'arco di una vita (e dunque della fragilità dell'ecosistema, ossia del suo essere assolutamente tutto qua e non altrove) a dover essere costantemente presente nella nostra mente, e nella nostra tv. Ma se la whiteness e la plastica sono la stessa cosa, ecco che l'invito di Morton è quello ad ascoltare non solo la testimonianza di Attemborough, ma anche quella di coloro che hanno conosciuto e subito il razzismo, il colonialismo, la discriminazione.

La vicinanza con gli altri oggetti, con la biosfera, con gli altri umani, con gli altri animali, si fonda sull'empatia. Ma quest'empatia non ha nulla a che fare con i bei sentimenti delle anime belle e dei poeti – ha piuttosto a che fare con la scienza. In una sorta di slancio platonista, Morton dice: « Imagine that a scientist is an upgraded artist » (13:10). Durante il periodo romantico gli artisti hanno idealizzato e sublimato la natura. In contrasto, « Imagine that the word “scientist” was created in response to the word “artist” » (13:13) proprio in quel periodo – Morton guarda all'altro lato del romanticismo. Come rende evidente la teoria della relatività, la scienza è tutt'altro che trascendentalmente distaccata dai suoi oggetti: essa è un tutt'uno con essi, con i suoi strumenti, con le sue condizioni di incontro con la natura. « Imagine that “scientist” means “listener” » (13:20), poiché è lo scienziato che si sintonizza con gli oggetti, e ne condivide la stessa temporalità – la stessa futuralità, lo stesso futuro futuro, la stessa struttura di sentimento. L'empatia di Morton è profondamente legata alla pratica della scienza, della fisica, della biologia, dell'ecologia.

L'apertura agli altri oggetti è rischiosa: « Imagine that being open means that you might get poisoned » (13:33), ma è proprio quest'apertura che costituisce il sentimento fondamentale e fondante della scienza. Questo « science-feel » (13:45) permette, anzi, consiste nell'apprezzare e nel provare disgusto per la stessa cosa, nell'ingoiare ogni cosa sapendo di poter essere avvelenati – nell'aprirsi nonostante la paranoia. « Imagine paranoia is the basis of empathy. Imagine you don't have to reject anything. » (14:17)

Anything è anything else – tutto ciò che è diverso dall'uomo. L'unica frase pronunciata apoditticamente, senza essere introdotta da un « imagine » è: « Beauty is non-human » (14:50).

Morton traccia una serie di equazioni: l'esser vivi è il senso (feel) della teoria (theory-feel); la bellezza è il senso della verità (truth-feel); il sublime è il senso del pensiero (think-feel). (14:37) Ma, ci dice, « beauty isn't there too make you feel nice » (14:53). Al contrario, essa contiene sempre una nota di disgusto – il quale è vita. La vita, pulsante e brulicante, di ogni oggetto (dagli uomini ai fotoni, dalle balene ai pianeti), è ciò in cui si immerge lo scienziato. La sua empatia è esattamente questo: la meraviglia come senso della verità (non-umana), e insieme il disgusto come senso della teoria (umana). Non si tratta allora di accettare tutto, francescanamente. Si tratta di amare piuttosto la distanza, come modo del farsi vicini.

« Imagine that science expands the ethics of the neighbor » (15:26): la scienza espande, approfondisce non solo la nostra conoscenza, ma il nostro comportamento nei confronti degli oggetti. Gli oggetti (come è ormai chiaro, e come da OOO), sono the neighbor, il prossimo, ma anche il vicino inquietante – ciò che Morton (riprendendo Derrida) chiama lo straniero estraneo.6 Ma lo straniero estraneo non è che il futuro futuro, ciò su cui si basa la possibilità dell'immaginazione. Per questo « A thing is precisely a fossil from the future »7.

Ed è una filosofia del futuro, futurista, quella di Morton. L'uomo non è infatti alienato dal suo passato, da un Eden originario (come una certa tradizione passatista, in cui Morton metterebbe insieme i populisti di destra e Martin Heidegger, afferma). Al contrario: « Imagine how we are infact alienated from the future » (17:24). Il passato è ovunque, è vero – ma non è ogni cosa. Esso è sì quella rete di idee con cui incontriamo il mondo – letteralmente un'ideo-logia –, ma è ben lontano dall'essere un circolo trascendentale indistruttibile. Esso si regge piuttosto su una struttura di sentimento, contingente, modificabile, risvegliabile.


Red ice - white ice, Chris Wainwright, 2008-9.


La scienza e (è) l'arte dell'incontrare gli oggetti.


Se i sentimenti sono il futuro, sono pensieri a metà, e quindi la promessa di una futura consapevolezza, allora nei sentimenti esiste un elemento di attesa, di ansia. Mi sembra di estremo interesse il fatto che gli inglesi traducono l'Angst (angoscia) heideggeriana con la parola « anxiety », ansia. Se in ogni sentimento v'è un elemento di attesa, allora in ogni sentimento v'è un elemento di angoscia – o per dirla con Heidegger, la situazione emotiva originaria è l'angoscia.8 Ma per Morton l'angoscia, o l'ansia, non è la situazione emotiva del Dasein di fronte alla gettatezza dell'esistenza – o meglio: per la OOO ogni oggetto è Dasein, e l'incontro con gli altri oggetti non è meno inquietante dell'incontro con sé stessi.

Per Morton « Art means listening to the future » (24:47). Ascoltare il futuro non vuol dire più (solo) il disporsi per l'essere-per-la-morte della propria esistenza, in senso personale, personalistico, egoistico. Non è vero, in un certo senso, che noi possiamo morire solo la nostra singolare morte. Come entra in gioco qui l'arte? Nel question time Morton offre un esempio di come sia possibile « to [...] melt the idea back into the emotion » (38:37), (anxiety), invece di rappresentare l'oggetto estrinsecamente. In particolare, sono gli iperoggetti (come il riscaldamento globale o il coronavirus) ciò che più di tutto ci getta nell'angoscia dell'attesa, ciò che resiste alle ideologificazioni.9 Come possiamo incontrare ed empatizzare con questi oggetti così e-straneamente estranei e così futurali?

Morton nota come molta dell'arte contemporanea sia « sciency art » (40:43), dove il confine tra arte e esperimento scientifico si assottiglia. Un esempio è l'Intimate Earthquake Archive di Sissel Marie Ton, in cui lo “spettatore” indossa un giubbotto che trasmette sulla pelle i dati sismici dei terremoti causati dalle trivellazioni umane. In questo modo è possibile sentire sulla propria pelle gli iperoggetti come la Terra, un terremoto, l'Antropocene.10 Un altro suggestivo esempio è Air Pressure Fluctuations, di Felix Hess. Hess ha registrato per cinque giorni e cinque notti ciò che si sente dalla finestra del suo appartamento a New York, per poi accelerare la registrazione di 360 volte. Il traffico degli uomini diventa irriconoscibile, un rumore caotico – ma un mormorio lento e ripetitivo diventa udibile: è la variazione della pressione dell'aria sull'Oceano Atlantico. Una simile opera lascia ascoltare l'Oceano Atlantico, un oggetto con spazialità e temporalità (un “Dasein”, potremmo dire) iperdimensionate rispetto alle nostre.11 Dove finisce l'opera d'arte? Dove comincia l'esperimento? Dove finisce la bellezza? Dove inizia la teoria? Possiamo empatizzare12, seppur minimamente, con l'Oceano Atlantico?

Questa è l'est-etica di Morton: scientifica, scevra di ogni visione ottocentesca della natura e di ogni pittoresco, radicalmente contemporanea. Essa appare come un supplemento, anzi, una replica al lato conservatore della filosofia di Heidegger: il pensiero, il senso della finitezza dell'essere (del Dasein) non va ricercato nel passato greco, bensì nel futuro cosmico; non nella temporalità del contadino che si leva al mattino e si corica alla sera, ma in quella dei secoli di degradazione della plastica. Poiché simili temporalità non sono raggiungibili, esse sono essenzialmente utopiche.

L'utopia, ci dice Morton, è anche eutopia: « the fact that it doesn't quite exist is why it's good » (28:37). La parola non significa allora la solita vecchia storia dei conservatori (« il comunismo è utopico, è bello solo sulla carta – dove non esiste »). Al contrario, ciò che non esiste propriamente è proprio il futuro futuro, ciò che non è ancora intrappolato e previsto-nell'-esistenza dall'ideologia. Non è buono solo ciò che non possiamo vedere del futuro (a causa del nostro essere sottodimensionati). È buono esattamente il fatto che non possiamo vederlo – la nostra cecità è un tutt'uno con la possibilità dell'immaginazione, e dunque della rivoluzione.


Osservazioni finali. Soli nella pandemia.


Quali sono i limiti di quest'empatia, e di questa immaginazione? Ad esempio, Morton ci chiede di immaginare che non vi sia alcun razzismo. Ma dove si colloca l'empatia qui? Una grande sofferenza genera solitudine, separazione, è uno schermo tra chi soffre e chi non può comprendere. Non è di cattivo gusto parlare di empatia qui?

Ricordiamo quel che abbiamo detto sopra: l'empatia non è un amore olistico e « francescano », bensì un saper stare nella radicale separazione di tutti gli oggetti. Il mondo è un insieme di relazioni finite, ossia, di non-relazioni. Accettare di non poter capire, rinunciare all'immedesimazione, sopportare la solitudine che deriva da tutto ciò: non può che essere questa l'empatia che propone Morton.

Per questo motivo lockdown is reopening e reopening is lockdown. Il coronavirus non ha messo a dura prova solo l'economia, la forza dei medici e la responsabilità dei politici. Tutti, in qualche misura, siamo stati colpiti « negli affetti ». L'isolamento sociale, la quarantena, il distanziamento, la paura che l'altro ci possa contagiare, e così via, hanno scavato fossi quasi invalicabili tra gli uomini. Non c'è bisogno di chiamare in causa l'ontologia per spiegarlo, direbbe Morton: lo sentiamo.

Ebbene, a questa profonda solitudine Morton risponde così: « Imagine social distancing means social intimacy » (8:39).

« Imagine there's no naked faces. » (8:10) Indossare la mascherina, e per estensione, rinunciare alla dimensione fisica dello stare con gli altri, diventa un modo per riconoscere il nucleo più intimo dell'esistenza altrui. « Imagine we all decided to wear a mask that says “I have mercy on you”. » (8:18) Riconoscere questa finitezza significa avere misericordia dell'altro.

« Imagine all the people we'll be never be close to. » (8.34) Ma queste persone non sono solo coloro che non incontreremo mai, bensì soprattutto quei « future selves » (8:30) di chi già conosciamo, e che potremmo non incontrare mai – un amico, una madre, un fidanzato, uccisi dal virus. Possiamo immaginare un mondo senza vicinanza fisica? Per farlo dobbiamo immaginare un mondo senza distanza sociale, un mondo in cui il distanziamento sociale è il modo più alto di essere vicini. Come imparare a rispettare lo schermo della sofferenza, reale e possibile, che la vicinanza tra gli uomini può generare? Lockdown is reopening, reopening is lockdown: il tatto di fronte alla chiusura dell'altro significa apertura, accostamento – l'osceno desiderio di vicinanza al contrario non riapre, ma scassina, costringendo l'altro a sigillarsi e ammutolire.13

L'assoluta intersezionalità dei temi però suggerisce anche qualcos'altro. Non è solo un fatto di virus. A causa delle discriminazioni profonde e sistematiche nei confronti delle minoranze, la possibilità di ferire e far soffrire (e quindi, dall'altro lato, di esser feriti e di soffrire) è incombente. Se siamo bianchi, la possibilità di procurare dolore a un amico nero è sempre dietro l'angolo. Se siamo cisgender, la possibilità di offendere un amicə transgender è sempre presente. Ciò che incombe è l'incontro con l'abisso dell'altro. « Imagine there's no uncanny valley » (7:04), ci chiede Morton – non perché sia possibile incontrare direttamente l'altro, ma perché non c'è distanza che non sia uncanny. È questo il senso di ciò che un secolo fa diceva Heidegger, che « L'angoscia può sorgere nella più innocua delle situazioni »14.

Per tutti questi motivi il social distancing è una forma di ascolto dell'altro, dell'estraneo estraneo e del futuro futuro, del silenzio che chiama dall'utopia.


Perché le parole di Tim Morton possono essere meditate così a fondo? Perché una lecture così non rigorosa permette un'interpretazione che non solo spazia dall'ecologia all'esistenzialismo, ma che soprattutto indica un modo di approcciare gli altri essere umani (se non ogni ente) secondo un'etica così delicata da essere inimmaginabile? Perché l'interpretazione è stata condotta secondo il fil rouge dell'immaginazione e della situazione emotiva. E perché forse Morton ha colto un punto fondamentale: bisogna imparare ad ascoltare le emozioni.15 Dalle emozioni scaturisce la possibilità di mille pensieri nuovi, prima inimmaginabili. È attraverso esse che siamo chiamati ad un'etica dell'altro, dalle cose stesse.




1 La lecture è disponibile qui sul canale YouTube del MACRO: www.youtube.com/watch?v=0WFqp09mikk&ab_channel=MACRO-Museoperl%27ImmaginazionePreventiva.

2 Cfr. ad es. Timothy Morton, Iperoggetti, 2018, NERO, Roma, p. 92

3 Cfr. Timothy Morton, ; What is agrilogistics?.

4 Variazione “ecologista” del paradosso della nave di Teseo, o del mucchio di sabbia.

5 In Iperoggetti Morton cita la poesia di Sheryl St. Germain Midnight Oil, scritta dopo il disastro della Deepwater Horizon del 2010.

6 Cfr. ad es. Iperoggetti, p. 17.

7 Timothy Morton, Spectres of the Non-human, in Julian Charrière, For They that Sow the Wind (London: Parasol Unit, 2016), p. 65, disponibile su .

8 Vedi M. Heidegger, Essere e Tempo, a cura di Franco Volpi, Longanesi, Milano, 2005, §40.

9 La misura di questa “resistenza” è però poco chiara. È evidente che le ideologie crollino di fronte al senso di spaesatezza che gli iperoggetti ci suscitano. Allo stesso tempo, maggiore è la spaesatezza, maggiore è la forza con cui le ideologie fanno presa su di noi.

10 Cfr. Hyperobjects: an exhibition on today's ecological crisis, su http://digicult.it/news-agenda/hyperobjects-una-mostra-sulla-presente-crisi-ecologica/.

11 Cfr. Iperoggetti, p. 80.

12 Da ἐν-πάθεια, soffrire / sentire in, all'interno, immersi nell'iperoggetto.

13 A pensarci bene, non è questo il modo in cui Heidegger legge la parola ἀλήθεια, come senso del pensiero dell'essere? La chiusura dell'essere « vela e mette in salvo tesori non ancora scoperti ed è la promessa di un ritrovamento che attende solo una ricerca adeguata » (M. Heidegger, La questione dell'essere, in Segnavia, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano, 1987, p. 364).

14 Essere e Tempo, p. 231.

15 Ma non banalmente ascoltare le “ragioni del cuore”. Ciò che serve è piuttosto un'ermeneutica delle situazioni emotive fondamentali del nostro tempo: la spaesatezza, la solitudine, la depressione, l'ecoangoscia.

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